Dalla Solitudine Pavesiana all’Incomunicabilità nell’Ipercomunicazione Digitale

Cesare Pavese (1908-1950) ha fatto dell’incomunicabilità il perno della sua drammatica visione del mondo. Le sue figure, isolate tra la campagna del mito e la città della storia, vivevano la solitudine come una condanna ontologica, un vuoto esistenziale che la parola letteraria e il mito tentavano, spesso invano, di colmare.

Oggi, nell’epoca dei social media e dell’ipercomunicazione digitale, il dramma pavesiano non è scomparso, ma si è trasformato. Se l’incomunicabilità per Pavese era l’esito di una scarsità di contatti autentici e di un’incapacità emotiva di “rompere la propria solitudine” (come annotava nel Mestiere di vivere), per l’uomo contemporaneo essa emerge, paradossalmente, dall’eccesso di connessione superficiale.


La Barriera Pavesiana: Inadeguatezza e Silenzio

Nei romanzi di Pavese, l’incomunicabilità si manifesta in modi precisi:

  • L’Assenza di Parola Autentica: Il protagonista pavesiano, come Anguilla de La luna e i falò, è spesso un uomo che non sa parlare o la cui parola rimane inascoltata. Il linguaggio è sentito come inadeguato a esprimere i sentimenti più profondi o i legami viscerali (con la terra, con l’infanzia).
  • Il Fallimento del Contatto Amoroso: Le donne sono percepite come alterità radicali e irraggiungibili. Il rapporto, spesso ridotto a un incontro fisico, fallisce nel momento in cui si cerca una vera condivisione spirituale o la costruzione di un futuro comune.
  • L’Isolamento come Destino: La solitudine è un destino ineluttabile, un dato di fatto che definisce la condizione umana, culminando, per Pavese stesso, nel tragico gesto del suicidio, come estrema dichiarazione di disconnessione dal mondo.

L’Incomunicabilità Digitale: Rumore e Simulacro

Nell’era digitale, pur disponendo di piattaforme che garantiscono una connessione continua, l’incomunicabilità persiste, assumendo una nuova e insidiosa veste.

Dal Silenzio al Rumore

L’incomunicabilità pavesiana era caratterizzata dall’assenza e dal silenzio emotivo, dal fallimento della connessione profonda. Oggi, essa è generata dal rumore e dall’eccesso di stimoli. Invece della scarsità di contatti, si ha una moltiplicazione di quelli superficiali. Se il rischio per i personaggi pavesiani era quello di essere dimenticati (il nulla), nell’ambiente digitale il rischio è quello di essere ignorati nel flood continuo di messaggi.

L’Introspezione e la Vetrina Sociale

Mentre i personaggi pavesiani si ritiravano nell’introspezione e nel diario interiore per gestire il loro dramma, l’utente dei social è spinto verso l’estroversione forzata e la vetrina sociale. L’eccesso di selfie, di story e di post è un tentativo convulso di rompere la propria solitudine attraverso l’approvazione esterna (like e follower), ma nasconde la stessa paura del vuoto che attanagliava i personaggi pavesiani. L’isolamento non è più dato dal silenzio, ma dal rumore di fondo di milioni di voci che si sovrappongono.

La Crisi della Profondità

Mentre Pavese soffriva per la difficoltà di esprimere la profondità, l’uomo dei social soffre per l’incapacità di raggiungere la profondità. La comunicazione è rapida, frammentata e standardizzata (emoji, hashtag, meme), il che rende difficile l’espressione di sfumature emotive complesse o di un pensiero articolato. Si creano “bolle” comunicative dove l’altro è accettato solo se affine, portando a una polarizzazione e a una rinnovata, e più radicale, incomunicabilità interpersonale.


L’Attualità Tragica di Pavese

In definitiva, Cesare Pavese, con la sua indagine sulla solitudine ineliminabile dell’uomo moderno, si rivela un autore di un’attualità sorprendente. Egli descrisse la crisi dell’essere in un mondo che stava perdendo il mito e il senso comunitario; noi viviamo la stessa crisi in un mondo che, pur offrendo una illusoria onnipresenza e onnicomunicazione, non è riuscito a colmare il vuoto esistenziale che Pavese aveva anticipato.

A cura di Biro e la redazione di Klasspop.it

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