L’Eclissi del Sé nell’Archivio dei ricordi degli Altri

Una riflessione dalla radio che ci strattona fuori dall’autocelebrazione

Nella frenesia dei feed e delle narrazioni personali curate al millimetro, la riflessione di Emanuele Conte, tratta dalla trasmissione radiofonica The others – Gli altri, arriva come una doccia fredda necessaria. Intitolata “Facce, voci e ricordi”, è un piccolo ma denso frammento che smonta l’illusione dell’autosufficienza biografica.

Facce, voci e ricordi
Nelle nostre storie c’è una parte che per forza è affidata agli altri.
I giorni, i mesi e gli anni passano, le cose succedono, alcune vite degli altri si incrociano o si scontrano con la nostra, per poi continuare ognuno sulla propria strada.
Sembra che alla fine di ogni incontro non debba restare nulla da raccontare nei convivi.
E invece no. Le facce, le voci e i ricordi restano stampati nella mente, come fossero pietrificati dalla potenza di un vulcano agitato per mano di un dio iracondo, dalla natura o dal tempo che non si ferma mai, dando così vita al futuro che senza pietà trascina con sé i ricordi, come fossero pietre pesanti che ti frenano o ali che ti insegnano a volare.

Emanuele Conte,dalla trasmissione radiofonica “The others – Gli altri

Il Peso Esterno della Nostra Storia

Il punto di partenza di Conte è disarmante nella sua semplicità: “Nelle nostre storie c’è una parte che per forza è affidata agli altri.” È una verità che spesso ignoriamo, presi come siamo a costruire un racconto del come entità monolitica. L’autore ci ricorda che la nostra traiettoria non è mai solitaria. Le vite altrui non sono semplici comparse; sono co-autori involontari, capaci di “incrociarsi o scontrarsi” con la nostra, per poi svanire lungo la propria strada.

Ci si aspetterebbe, a questo punto, l’oblio, l’assenza di residui narrativi. E invece, la svolta: “Le facce, le voci e i ricordi restano stampati nella mente.”


L’Architettura dei Ricordi: Vulcani e Pietre

È qui che il testo raggiunge il suo apice espressivo, pur rischiando un eccesso retorico. Conte ricorre a immagini potenti, quasi barocche, per descrivere l’indelibile permanenza degli incontri. Questi ricordi non sono semplici file nella memoria, ma elementi “pietrificati dalla potenza di un vulcano agitato”. L’immagine del dio iracondo e della natura implacabile, seppur vintage, trasmette l’idea che l’impatto degli altri sulla nostra psiche sia un evento catastrofico, non negoziabile.

La riflessione si chiude con il ruolo ambivalente del futuro, che “senza pietà trascina con sé i ricordi”. Essi diventano metafore pesanti: “pietre pesanti che ti frenano o ali che ti insegnano a volare”.


Il Verdetto di Klasspop.it: Più che un Ricordo, una Lezione

“Facce, voci e ricordi” funziona perché ci obbliga a decentrarci. In un’epoca ossessionata dal personal branding e dalla narrazione interna, Conte ci spinge a riconoscere la nostra natura di costellazioni fatte di incontri e scambi. La vera storia non è quella che raccontiamo di noi stessi, ma l’archivio involontario che gli altri lasciano nella nostra mente.

Se l’uso delle metafore vulcaniche può apparire leggermente datato, il messaggio centrale è attualissimo: la nostra identità è un mosaico sociale. Quante delle nostre “pietre pesanti” o delle nostre “ali” vengono da quegli altri che pensavamo di aver lasciato sulla strada?

Un ottimo spunto per riflettere, dimostrando che anche un breve testo radiofonico può avere una risonanza che va ben oltre i minuti di trasmissione.


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