Appuntamento con la vita: Vivere il presente, accettando la fine

La Parabola di Samarra Il mercante che parla con la morte e il servo che fugge a cavallo per la paura.

La vita è un percorso, un intreccio di gioie e dolori, di traguardi raggiunti e sfide da affrontare. Eppure, in questo cammino, c’è un’unica certezza, un appuntamento al quale non possiamo mancare: la morte. L’ineluttabilità di questo evento, spesso considerata un peso o una tragedia, può in realtà diventare una fonte di grande forza e un invito a vivere pienamente ogni istante.

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L’appuntamento a Samarra

Questa verità profonda è splendidamente illustrata da un’antica parabola che ha attraversato i secoli e le culture. Sono varie le versioni famose come quella di William Somerset Maugham nella pièce teatrale: Sheppey,oppure quella raccontata dallo scrittore John O’Hara nel suo romanzo “Appuntamento a Samarra” e ancora quella di Jorge Luis Borges, il quale la inserì prima nell’antologia Racconti brevi e straordinari (1953) e poi in Antologia della letteratura fantastica (1976), oppure Jean Cocteau con “Il gesto della morte” e altri ancora.

La storia narra di un mercante di Baghdad che, un giorno, manda il suo servo al mercato per fare la spesa. Il servo torna poco dopo, terrorizzato, e racconta di aver visto la Morte che gli ha fatto un cenno minaccioso. Impaurito, chiede al suo padrone un cavallo per fuggire lontano, fino a Samarra. Il mercante, confuso, va al mercato per affrontare la Morte e le chiede perché abbia spaventato il suo servo. La Morte risponde: “Non l’ho minacciato, mi sono solo stupita. Ero sorpresa di vederlo a Baghdad, perché ho un appuntamento con lui stasera a Samarra”.

“Calma e gesso” o “Don’t panic”

Nella parabola di Samarra, la figura del servo terrorizzato offre una lezione potente. Preso dal panico, impiega le sue ultime forze per fuggire, usando un cavallo veloce che, ironicamente, lo porta ancora più rapidamente al suo inevitabile appuntamento. La sua agitazione non solo non lo salva, ma accelera la sua fine. Questo ci ricorda l’importanza della calma di fronte agli ostacoli. “Calma e gesso” o “Don’t panic” non sono solo frasi fatte, ma principi di vita. Di fronte a problemi lavorativi o personali, l’ansia e la frenesia spesso annullano la lucidità, spingendoci a fare scelte che ci portano dritti verso ciò che temiamo. Mantenere la serenità permette di pensare chiaramente e affrontare la realtà con saggezza, anziché fuggire invano.

Questa leggenda, di cui si trovano tracce persino nel Talmud babilonese, ci ricorda che non possiamo fuggire dal nostro destino finale. Non importa quanto velocemente corriamo o quanto lontano andiamo, il nostro appuntamento con la fine è fissato in un luogo e in un momento che non possiamo cambiare. Che la nostra destinazione finale sia Samarra, o come recita un’altra versione della leggenda, Samarcanda, il messaggio rimane lo stesso.

Affrontare la vita con coraggio e positività

Accettare questa verità non significa arrendersi alla disperazione. Al contrario, è un potente promemoria per abbracciare la vita con coraggio e positività. Se non possiamo evitare la fine del nostro viaggio, possiamo almeno renderlo più confortevole e meno tragico.

Ricordare che il tempo a nostra disposizione è limitato può essere un potente sprone a:

  • Vivere il presente: Smettere di rimandare la felicità a un futuro incerto. Goditi i piccoli momenti, le risate, le amicizie, la bellezza che ti circonda.
  • Affrontare le sfide: Le asperità del nostro cammino, le difficoltà, i fallimenti, sono parte integrante della vita. Accettali non come ostacoli insormontabili, ma come opportunità di crescita e di apprendimento.
  • Rinfrancare lo spirito: Nei momenti di sconforto, riflettere sulla transitorietà di ogni cosa, comprese le nostre sofferenze, può aiutarci a relativizzare i problemi e a trovare la forza interiore per andare avanti.

La fine, un nuovo inizio?

Per chi ha una fede o una convinzione spirituale, la morte non è la fine, ma un nuovo inizio. Che sia l’aldilà, la reincarnazione o un’altra forma di esistenza, la fine del nostro percorso terreno è paragonabile a una virgola in un racconto che non avrà mai fine, dove il punto che segna la fine di un’idea o di un concetto non esiste.

Indipendentemente dalle nostre credenze, l’accettazione della morte ci libera dalla paura e ci permette di focalizzarci su ciò che conta davvero: la qualità della nostra vita, le relazioni che costruiamo, l’amore che diamo e riceviamo. L’appuntamento a Samarra o a Samarcanda, come preferite, è inevitabile, ma il modo in cui ci arriviamo dipende solo da noi. Possiamo arrivarci in comagnia della paura che ci rovina il viaggio, o con la serenità di chi ha vissuto pienamente ogni giorno che gli è stato concesso. La scelta è nostra.

Altra versione:

La 53ª sukkah del Talmud Babilonese è una parabola che racconta di come un giorno Re Salomone si accorse che l’Angelo della Morte era triste. «Perché sei così triste?» gli chiese. «Perché mi hanno ordinato di prendere quei due Etiopi», risponde l’Angelo della Morte, riferendosi a Elihoreph e Ahyah, i due scribi etiopi di Salomone. Il Re volle salvare i suoi preziosi uomini e li fece scappare fino alla città di Luz, ma appena giunti qui i due scribi morirono. Il giorno seguente Salomone incontrò di nuovo l’Angelo della Morte e vide che sorrideva. «Perché sei così felice?» gli chiese. «Hai mandato i due etiopi proprio nel posto in cui li aspettavo!» risposte la Morte. Al che Salomone espresse la morale della parabola: «I piedi di un uomo sono responsabili per lui: essi lo portano nel luogo dove egli è atteso.»

“Per Aspera Ad Astra” di Emanuele Conte per Klasspop – Immagini AI